Angelica viva grazie alle scelte dei medici

Nata prematura, con cuore e polmoni non formati. A salvarla l’immediato trasporto all’Umberto I

ROMA – Se fosse successo in Olanda dove bambini così piccoli non vengono rianimati Angelica non sarebbe nata. E non avrebbe provato la dolce sensazione di essere riportata a casa sana e salva questa settimana in braccio alla mamma Monica, dopo oltre cinque mesi di ospedale e cure speciali. È stata partorita quando aveva appena 22 settimane e 6 giorni. Minuscolo esserino. Leggera come una piuma, 550 grammi appena. Lunga 32 centimetri, con i polmoni, i reni, il sistema nervoso e tutti gli organi principali non perfettamente giunti a maturazione.

Bebè «a termine»

Nella grandissima maggioranza dei casi i piccoli o non sopravvivono oppure, se aiutati dalle macchine, guadagnano la vita al prezzo di gravi handicap, frutto di un’età gestazionale molto precoce, da Guinnes dei primati. Nessun precedente nel Lazio, pochissimi nel mondo. Secondo lo studio inglese Epicure appena l’1% dei super prematuri alla ventiduesima settimana non muoiono, riportando però severe complicanze neurologiche. Lei no. Lei non solo ce l’ha fatta ma lascerà i medici dell’unità di terapia intensiva neonatale diretta dal professor Mario De Curtis, al Policlinico Umberto I, come uno dei tanti bebè cosiddetti «a termine». Per il momento Angelica non presenta danni evidenti. Niente problemi di udito e vista, nessun danno cerebrale. Ha cominciato a bere il latte dal biberon preparato dalla mamma, è sveglia e risponde bene a tutte le sollecitazioni.

Trasferimento tempestivo

Migliora giorno dopo giorno, rapidamente. «Non sono presenti alterazioni neurologiche diagnosticabili con risonanza magnetica. Ma solo i controlli a distanza potranno escludere sorprese – è cauto De Curtis – Parliamo di bambini ad altissimo rischio di handicap. Tutto però fa ben sperare anche se dobbiamo ricordare che sotto le 24 settimane di gestazione oltre la metà dei nati patiscono gravissime disabilità». Angelica è stata partorita il 10 maggio al Policlinico. Madre rumena, papà bulgaro, da anni in Italia. Qualche giorno prima Monica, era andata al pronto soccorso dell’ospedale di Colleferro per la rottura della membrana amniotica. I medici avevano organizzato l’immediato trasporto all’Umberto I, sede di un centro di maternità di secondo livello (i più attrezzati, dove dovrebbero essere trattate tutte le gravidanze pericolose). Una storia di buona sanità. Una delle tante di cui non si parla.

La convinzione dei medici

Monica avrebbe voluto rinunciare a darle una possibilità di salvarsi per paura che Angelica crescesse con danni tali da procurarle grande sofferenza. Ma i medici l’hanno convinta a tentare con la promessa che, se la piccola avesse mostrato dei problemi clinici gravi, non avrebbero insistito con le cure di rianimazione. Angelica invece ha resistito, con ostinazione. Ha superato indenne 95giorni di respiratore automatico, di infezioni, trasfusioni, dosi massicce di farmaci, decine di tubicini e cateteri. Sarà dimessa questa settimana. Ora pesa 3 chili e 400 grammi, è lunga 52,4 centimetri e una testolina di 34 centimetri decorata da un caschetto di capelli neri. Ha gli occhi vigili, attenti. Ogni tanto li alza per guardare Monica, che la tocca e le scosta il bavaglino come fosse di porcellana e si dovesse rompere da un momento all’altro. De Curtis trae da questa favola a lieto fine una morale clinica: «È la conferma che le scelte terapeutiche vanno individualizzate e non bisogna basarsi sull’età gestazionale. Il primo riferimento è l’evoluzione del bambino. Se non ha danni neurologici visibili con i test credo debba essere tentato ogni sforzo per rianimare».

Senza accanimento

Non la pensano allo stesso modo in Olanda, Svizzera e Spagna dove di fronte a eventi come quello del Policlinico romano ci si limita a cure palliative, dunque i bimbi di 22 settimane non vengono tenuti in vita. In Canada e Germania invece la rianimazione viene eseguita solo su richiesta dei genitori. In Italia su questo tema sono stati aperti confronti biologici. Prevale la linea di applicare l’assistenza intensiva a tutti i neonati e di desistere, senza accanirsi, quando si prende atto che hanno gravi danni.

Margherita De Bac – fonte: Corriere della Sera.it

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